“C’è chi costruisce una carriera sul dolore altrui e riesce tuttavia a non vergognarsene.”
Il sorriso sarcastico di Bonetti non lasciava presagire niente di buono. Decisamente non era dell’umore adatto per aiutare nessuno, né si sentiva disposto ad ascoltare tortuose bugie: Lo stato d’animo meno adatto per incontrare, in quelle circostanze, Adolfo Rinaldi.
Questi era uno dei nomi più noti della “Bologna bene” e al tempo stesso un cupo presagio per gli imprenditori indipendenti che osavano intralciare l’avanzata della “holding rinaldi”. Più di uno tra loro si era ritrovato sul lastrico senza avere nemmeno la possibilità di vendere tutto e ritirarsi a vita privata. L’uomo famelico ora lo attendeva in un elegante salotto perfettamente in tinta con la sua cravatta. Anche se era seduto dando le spalle alla porta, Bonetti lo riconobbe subito: I suo i capelli color piombo ricordavano la pinna di uno squalo.
“Si accomodi, prego”
Le parole sembravano gentili, ma il tono di voce tradiva un’attitudine al comando che non gli piacque affatto. Si disse che comunque poteva essere semplicemente questione di… gelosia? Gli seccava ammetterlo, ma forse non era davvero così pronto per quel lavoro.
Bonetti sospirò e si avvicinò ad una delle avvolgenti poltrone damascate aggirando il ripiano di cristallo che poggiava su quella che sembrava essere roccia viva. Sul ripiano, un vassoio d’argento ed un servizio da thè. Le tazze erano già state riempite.
“Lei capisce bene che questa non è una situazione ordinaria, quindi mi permetto di saltare i preamboli da buon padrone di casa. Si serva e cerchiamo di venire al dunque”
Bonetti non scelse né latte né limone. Si limitò a sfiorare la tazza con la mano, poi cambiò idea e tirò fuori un blocchetto ed una penna: Sarebbe sembrato un cameriere sfacciato sedutosi in attesa dell’ordinazione del facoltoso cliente.
“Parliamone”
Rinaldi rimase perplesso solo per un istante dal tono dell’interlocutore ma passò subito con decisione all’esposizione della questione.
“Da circa quattro mesi vivo sotto scorta. Una serie di minacce ha convinto le forze dell’ordine del fatto che fosse il caso di proteggere la mia persona. Ciononostante non si pensava che potessero esserci reali pericoli, quindi la mia abitazione non è stata sorvegliata, e neppure la mia famiglia…”
Una sensazione sgradevole, una nuvola di malessere cominciò ad addensarsi nello stomaco di Bonetti: una nuvola chiamata preoccupazione. Nella mano aveva ancora il taccuino, ma non scrisse nulla.
“Vada avanti”
“Questa notte qualche malintenzionato si è introdotto in casa. Cercava me, ma io non ero… in città. Se fossi stato qui la mia guardia del corpo sarebbe intervenuta ma, come le ho già detto, la casa non è sorvegliata in mia assenza. La signorina Russo è stata ferita ed Emilia è stata rapita…”
Fino a quel momento Laura era rimasta in un angolo della stanza senza muovere un solo muscolo: Un’autentica moglie trofeo esposta come una statua antica nella stanza per il ricevimento degli ospiti. Sentendo il nome della figlia, però, le sue difese cedettero per un istante e non riuscì a trattenere un singhiozzo, uno soltanto, prima di tornare ad essere la signora di sempre.
“Emilia” pensò Bonetti e, giusto per avere qualcosa da fare e non sentirsi costretto a dire qualcosa scarabocchiò quel nome su una pagina bianca, come se fosse il titolo di una poesia ancora da scrivere.
Le nuvole non accennavano a diradarsi…